La santità della Chiesa (15) : la povertà

Fonte: FSSPX Attualità

San Francesco d'Assisi rinuncia a tutto

Il Vangelo elogia la povertà con parole fortissime: «Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio […] Ma guai a voi, ricchi, perché avete già la vostra consolazione» (Lc 6, 20 e 24). In innumerevoli passaggi Nostro Signore elogia la povertà e maledice la ricchezza, che viene presentata come una delle più pericolose occasioni di dannazione. Come hanno inteso i santi della Chiesa Romana queste parole?

La Chiesa ha inteso la povertà come uno dei “consigli evangelici”: alcuni cristiani, conformemente al Vangelo, sono chiamati a lasciare effettivamente la proprietà dei loro beni e a vivere in povertà, anche con il voto corrispondente, così come avviene per la castità perfetta o l’obbedienza.

Tuttavia, ogni cristiano, anche se possiede dei beni, è chiamato a preferire interiormente la povertà alla ricchezza, se non vuole essere “soffocato” dalle ricchezze (come dice la parabola del seminatore). Solo così potrà passare attraverso la famosa “cruna dell’ago”. Questo è il mezzo radicale, voluto dal Signore, per sconfiggere la concupiscenza degli occhi che sta nel mondo (cf 1Giov. 2, 16-17).

La povertà come disprezzo dei beni terreni e amore verso Dio

Negli statuti della Fraternità San Pio X, Mons. Lefebvre raccomanda ai sacerdoti lo “spirito di povertà”, pur senza esigerne il voto, e lo fa con un’osservazione semplice ma piena di tutta la spiritualità cristiana: «Un grande amore di Dio, della Santissima Trinità, incendierà i cuori dei membri della Fraternità. Questa carità dovrà essere tale da generare naturalmente la verginità e la povertà». Egli presenta quindi la povertà come manifestazione di quella carità che, come vedemmo all’inizio di questa serie di articoli, costituisce formalmente la santità.

Un ardente amore di Dio in effetti non lascia spazio all’amore per i beni e i piaceri del mondo, così come un ardente amore per le cose di questo mondo porta necessariamente alla superbia e all’odio di Dio. I santi si sono dunque esercitati a disprezzare le cose di quaggiù per lasciar spazio all’amore di Dio, non certo per odio gnostico verso la materia.

In questo la povertà del santo cattolico non ha nulla a che fare con il disprezzo metafisico per l’essere del “monaco” buddista. Il disprezzo per i beni cristiano è amore per l’Essere supremo, Dio, davanti al quale ogni altro essere perde di valore, al punto che si può parlare addirittura di “disprezzo”.

Il santo cattolico, nel vivere la povertà, mette semplicemente il proprio cuore presso il vero tesoro, quel tesoro celeste dove i ladri «non sconficcano né rubano» (Mt 6, 19). San Gregorio Magno commentava proprio così: «Fratelli, se desiderate essere ricchi, amate le vere ricchezze».

Povertà come carità verso il prossimo

Parallelamente alla rinuncia per amore di Dio, vi è l’aspetto del privarsi del proprio per dare al prossimo, come insegna il Vangelo stesso: «Vai, vendi ciò che hai, dallo ai poveri, ed avrai un tesoro in cielo poi vieni e seguimi» (Mc 10, 21).

Molti santi che avevano grandi ricchezze non esitarono a liberarsene in questo modo: san Francesco stesso aveva cominciato il suo cammino di santità dando ai poveri il denaro che suo padre (il ricco mercante Pietro Bernardone) gli metteva a disposizione. L’amore della povertà, che il santo chiamerà poi sua sposa, gli faceva vedere i beni unicamente come un mezzo di soccorrere il prossimo; quando infatti il padre volle impedirgli di usarli in quel modo, egli preferì rinunciare a tutto.

I santi che non vollero ricchezze e le diedero ai poveri sono legione: san Carlo Borromeo ereditò dal fratello il ricchissimo principato di Oria, ma subito lo vendette per la cifra di quarantamila scudi, che in un solo giorno distribuì ai bisognosi. Ugualmente san Giovanni Battista de la Salle rinunciò alle rendite del canonicato ed ai beni di famiglia per amore di povertà e per soccorrere gli indigenti.

Anche i santi che gestirono grandi ricchezze a causa della posizione cui erano chiamati lo fecero con questo spirito. Pur disponendo di grandi beni, i santi re o pontefici vissero in povertà spesso estrema, senza approfittare del loro potere per una vita di agio. Si sa che in punto di morte san Pio X poté dire in tutta verità: «Sono nato povero, sono vissuto povero, e sono sicuro di morir poverissimo». Dei beni della Chiesa, nulla egli aveva usato per sé o per i suoi.

La povertà come voto

Come abbiamo visto, chi vuole seguire da vicino Gesù Cristo nello stato di perfezione può rinunciare effettivamente ai beni, anche facendone il voto, e non solo mantenere lo spirito della povertà, così come può rinunciare ai piaceri anche leciti con il voto di castità, e alla propria volontà con l’obbedienza

Ogni religioso nella Chiesa cattolica fa professione di povertà, rinunciando al possesso o almeno all’uso dei propri beni. Tale stato di vita è del tutto assente nel protestantesimo, e risale al modo di vita degli apostoli e dei primi eremiti e monaci. La consacrazione ufficiale di tali scelte con dei voti pubblici, garantiti da regole e dall’autorità della società ecclesiastica, è segno evidente della volontà della Chiesa di non rinunciare a seguire alla lettera la chiamata evangelica alla perfezione.

Sebbene solo alcuni siano chiamati a questo tipo di sequela del Cristo, tutta la Chiesa si adopera perché questo segno di credibilità non venga meno. Del resto, insieme alla castità, la povertà ed il disinteresse al guadagno terreno è da sempre il motivo apologetico più immediatamente percepibile anche dai semplici, come testimoniava già san Paolo.

Povertà e paternità di Dio

La testimonianza dell’autentica povertà dei santi permette davvero di capire la principale verità rivelata da Gesù Cristo: la paternità di Dio. Tale connessione è insegnata esplicitamente da Nostro Signore stesso: «Non preoccupatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno».

A questo punto lasciamo la conclusione al grande sposo della povertà, san Francesco, nel momento in cui abbandonò tutti i beni del suo padre terreno, davanti al vescovo di Assisi. Egli colse questa sua liberazione dai legami mondani, per riunirsi immediatamente al suo unico Principio e Padre, senza più ostacoli.

Così parla la Legenda Maior:

«Quando restituì al padre ogni cosa e, deposte le vesti, rinunciò ai beni paterni e temporali, dicendo: “Di qui in avanti posso dire con certezza: Padre nostro che sei nei cieli”».